La chiesa di Germanedo è dedicata ai martiri Cipriano e Giustina ma nei documenti antichi l’edificio è quasi sempre denominato “chiesa di Santa Giustina”; l’intitolazione anche a San Cipriano infatti appare per la prima volta solo nel 1608.
La dedicazione a Santa Giustina (da non confondersi con la S. Giustina da Padova) ci dà la possibilità di pensare che a Germanedo e sull’area sulla quale fu costruito l’edificio sacro, vi fosse un insediamento di Longobardi o una loro area cimiteriale. Era infatti una consuetudine dei missionari mandati dal Patriarca di Aquileia, intestare a santi ortodossi, i siti sepolcrali o di culto longobardi, per distrarre questo popolo dall’arianesimo. Il culto di S. Giustina è appunto stato sempre molto diffuso sul Lago di Como.
La chiesa di Germanedo è citata anche nel famoso Liber Notitiæ Sanctorum Mediolani redatto da Goffredo da Bussero, il quale elenca (anche se in modo talvolta impreciso) gli altari e le chiese presenti nella diocesi ambrosiana nel Duecento. In questo importantissimo documento storico leggiamo: “In plebe leuco. loco Belè ecclesia sancte Justine”. Dunque possiamo notare che la chiesa di Germanedo viene erroneamente collocata nella località Belè (Belledo) anziché a Germanedo. Le imprecisioni toponomastiche sono abbastanza frequenti in questo importante documento storico scritto da Goffredo da Bussero che però rimane una delle fonti principali per datare gli edifici ecclesiastici.
Le chiese non parrocchiali della Pieve di Lecco tra cui quella di Santa Giustina in Germanedo, erano subordinate alla prepositurale; venivano denominate “chiese vicecurate” in quanto il Vicario Foràneo o Prevosto inviava presso tali chiesuole, un suo delegato. I vari prevosti furono sempre gelosi di questa supremazia nei riguardi delle varie chiese del territorio. Già dal Cinquecento i cappellani delle varie chiese vicecurate di Lecco, tra cui Germanedo, erano obbligate ad omaggiare un capretto al Prevosto nella ricorrenza delle festività pasquali, in segno di sottomissione.
Notizie storiche più precise relative a questo nostro tempio possiamo ricavarle prevalentemente grazie alla consultazione degli atti delle visite pastorali susseguitesi sin dal 1550, anno della visita pastorale compiuta da monsignor Falcone Caccia [dato incerto]. In quell’anno è cappellanus mercenarius Sanctæ Justinæ il prete Giuseppe Isacchi e le anime da comunione sono quaranta. Lo stesso prelato, interrogato durante la Visita Pastorale, asserisce che “ne la sua detta giesa non si tiene il Corpus Domini perché la visinanza de detto logo è tanto povera che non può patir la spesa…”.
Oltre a questo negli atti di questa Visita Pastorale emergono altri particolari interessanti come la dettagliata descrizione ed inventariazione delle suppellettili liturgiche. Con gli atti della visita pastorale del 1569 compiuta in vece di San Carlo Borromeo dal Cermenati, veniamo a conoscenza che in questa chiesa era presente una bellissima ancona “altare consecratum cum ancona pulcherrima picta et aurata” e che vi erano due altari minori dedicati uno a san Pietro Martire e l’altro ai Santi Rocco e Sebastiano. La chiesa era lunga 25 passi e larga 15; la facciata era dotata di due finestre ai lati della porta d’ingresso e, in alto, del caratteristico finestrone a lunetta (attualmente ancora presente). Il locale che ai nostri giorni ospita la sagrestia, ospitava a quei tempi la cappella di S. Giustina la quale era affrescata con figuris antiquis. Un decreto del 1603 ordinava di demolire l’altare dedicato a Santa Giustina per poi destinare lo spazio dell’ex cappella alla realizzazione della nuova sacrestia in quanto quella presente era piccola, scomoda e soprattutto risultava essere molto umida.
Secondo un’antica tradizione tramandata oralmente, la cappella di Santa Giustina, poi divenuta sacrestia, sarebbe stata il primitivo corpo della struttura della chiesa, quindi la parte più antica dell’intera chiesa. Dalla chiesa si poteva accedere ad un cimitero coperto e ad uno scoperto (dove vi era un catafalco di legno soggetto alle intemperie) nel quale però pascolavano le bestie, posti dove attualmente c’è il cosiddetto “Giardino della Pace”. Nel cimitero coperto si trovava uno strano dipinto che raffigurava una certa Santa Dominica [o santa Domenica?]. Nel 1550 era stato ordinato di modificare tale affresco in quanto in esso erano raffigurati strani segni ed emblemi non decenti ma nulla era stato fatto. Sopra questo cimitero si trovava la casa del curato. Attiguo alla sagrestia, vi era il campanile dotato di due sonore campane al quale si accedeva tramite una porticina situata nel presbiterio. Sempre negli atti della visita pastorale del 1569 troviamo scritta una nota negativa riguardo al cappellano di allora, don Domenico Sala detto Borella: “Fate processo informativo contro Prete Domenico de Salla se più si troverà giocare al ballone, o lasciar giocare in casa sua a charte, portare calzoni o calze di colore, come ha fatto”.
Sappiamo con certezza che nel 1537 nella nostra chiesa, operarono gli artisti Ambrogio Arcimboldi e Sigismondo De Magistris, i quali probabilmente provvidero alla realizzazione di pale d’altare. Per alcuni periodi molti preti residenti a Germanedo vennero incaricati anche della cura d’anime a Belledo. Occorre ricordare il già citato Domenico Sala (dal 1567 al 1569), Giovanni Longhi (1570), Gerolamo Vasti (dal 1578 al 1582).
Il 20 luglio 1608, per conto del cardinal Federigo Borromeo, mons. Albergato effettua la visita pastorale dai quali atti spicca un dettagliato elenco di suppellettili liturgiche presenti e minuziose descrizioni della struttura dell’edificio ecclesiastico. Apprendiamo inoltre che in questa nostra chiesa nel 1608 era presente un bellissimo polittico raffigurante i misteri dell’Annunciazione di Maria, la Risurrezione di Cristo, i Santi Ambrogio e Antonio, la Madonna circondata dai Santi Cipriano e Giustina (forse opera cinquecentesca di Arcimboldi – De Magistris?).
Nella chiesa erano presenti due sepolcri e sappiamo che vi fosse un altro cimitero situato sul lato sud della chiesa. Il rettore della chiesa di Germanedo era il prete Giovanni Antonio Daverio il quale, interrogato dal visitatore, asserisce che la chiesa e l’altare maggiore sono stati consacrati dal Vescovo Francesco Landino e che l’anniversario della consacrazione si celebra la terza domenica di agosto . Gli abitanti di Germanedo erano 218, le anime da comunione 136, i padri di famiglia 42, i poveri 3, le vedove 6 e gli orfani 4. Allegata agli atti della visita pastorale del 1608 vi è anche una piccola relazione nella quale viene descritta sia la vita che l’aspetto fisico del cappellano di Germanedo, Giovanni Antonio Daverio. Si riporta qui di sèguito un piccolo ma simpatico stralcio di questa relazione: “[Giovanni Antonio Daverio] è curato della chiesa dei Ss. Cipriano e Giustina di Germanedo […]. Usa abito talare decente. Porta tonsura più ampia del conveniente. Ha la barba sul labbro superiore stretta come si deve, e non la coltiva. Porta calze non colorate né gonfie ma decenti, con scarpe dello stesso colore. Possiede libri utili al suo studio. […]. È giudicato bene dal popolo che lo approva e lo loda”.
Tra i particolari curiosi descritti negli atti di questa visita pastorale, apprendiamo in oltre che un Germanedese, un certo Marco Antonio del Corno, era solito profanare le feste “con opere servili e con balli” e che lo stesso non si confessava perché non pagava quanto dovuto alla Chiesa. Nella stessa visita pastorale è annotata anche l’assenza di un chierico tonsurato preposto al servizio liturgico: infatti serve all’altare “un ragazzo laico di tredici anni, senza cotta, a piedi nudi e con abiti laceri, in modo indecoroso per sì grande sacrificio”.
Nel 1615 in un decreto, dato dal cardinal Federigo Borromeo, appare che a Germanedo si era dedicata una cappella a San Carlo (canonizzato nel 1610), ma il quadro raffigurante il Santo con S. Antonio e S. Apollonia doveva essere molto brutto (nullam elegantiam) e perciò andava sostituito da un’altra tavola dipinta da mano più abile. In un documento della Curia dello stesso anno, il Cardinal Federigo Borromeo scrive: “Sancta Justina de Zermagnedo, discosta mezzo miglio da Acquate et da Lecco un miglio, il Rev. Messer prete Francesco Rasparolo, detto Morinetto, attende a fuoghi 25; anime 223; anime da Comunione 60”. A sèguito della discesa dei Lanzichenecchi, come altri paesi del territorio di Lecco, nel 1629 Germanedo viene colpito dalla devastante epidemia della peste.
Il 21 settembre 1631 la cappellania di Santa Giustina di Germanedo, su decreto del Cardinal Federigo Borromeo, venne eretta in Parrocchia divenendo indipendente dalla Prepositurale di San Nicolò e dal vicario foràneo. Il primo parroco fu don Giovanni Battista Bertucci il quale rimase in parrocchia fino al 1677. Il Cardinal Arcivescovo di Milano Cesare Monti, forse a sèguito di importanti lavori strutturali, consacra la chiesa nel 1647 anno in cui, oltre alla dedicazione a Santa Giustina, si aggiunge ufficialmente anche quella a San Cipriano.
La data ufficiale di fondazione della Parrocchia dei Santi Martiri Cipriano e Giustina è il 21 settembre 1631 ma l’effettivo e completo distacco da San Nicolò avvenne soltanto il 1° febbraio 1648, come risulta dall’atto rogato da Giovanni Battista Anguissola, notaio attuario arcivescovile.

SETTECENTO E OTTOCENTO, TRA PROFANAZIONI E RIEDIFICAZIONI

Fino ad ora non sono state trovate sufficienti fonti documentarie che ci permettano di venire a conoscenza degli avvenimenti salienti del Settecento legati alla parrocchiale di Germanedo. Possiamo comunque pensare che in quel secolo l’aspetto del sacro edificio non dovesse discostarsi molto dalle descrizioni secentesche. Qualche modifica alla struttura ecclesiastica si ha nel 1792 per mano del capomastro germanedese Pietro Todeschini, anche se non si sa di preciso in che cosa constava il suo lavoro.
Tra i curati di Germanedo del Settecento, spicca don Domenico Mojoli il quale dal 1722 al 1724 dovette occuparsi anche della reggenza della cappellania di S. Alessandro in Belledo.
Nella visita pastorale compiuta dall’arcivescovo Giuseppe Pozzobonelli nel 1746, si parla esplicitamente della Confraternita del Santissimo Sacramento anche se la fondazione risulta risalire alla seconda metà del Seicento, in quanto tale Confraternita è già citata negli atti della visita pastorale dell’arcivescovo Federico II Visconti, avvenuta negli anni ottanta del Seicento.
La chiesa parrocchiale di Germanedo è stata per secoli “la chiesa della famiglia Serponti”. I membri di questo nobile casato, che già dal 1690 avevano la loro dimora di villeggiatura a fianco della parrocchiale, furono infatti sempre molto legati a Germanedo e alla sua comunità. Nel tempio germanedese, oltre ad essere stati sepolti alcuni membri di questa famiglia, soprattutto nel Settecento, vennero celebrati matrimoni e battesimi di certi Serponti. Per esempio, il 10 settembre 1753 il parroco don Giuseppe Arrigoni battezza Vittoria, Paola, Alessandra, Maria, Anna, Giuseppa, Melchiorra Serponti (vi era l’usanza di dare più nomi alla stessa persona) figlia del marchese Giovanni Giorgio Serponti e di donna Margherita Durini. Il 25 giugno 1761 nella chiesa di Germanedo viene celebrato il matrimonio del conte Gaetano Cagnola e di donna Emilia Serponti, genitori di uno dei più importanti esponenti dell’architettura neoclassica lombarda, Luigi Cagnola.
Nel 1765 l’antico campanile viene dotato di tre nuove campane fuse dal fonditore Giovanni Bizzozero di Varese. Negli ultimi lustri del Settecento, dal prevosto Paolo Garimberti venne ristabilita l’antichissima tradizione, sospesa nel 1760, di ricevere in dono dalle varie parrocchie di Lecco il capretto di Pasqua. A tale usanza ripristinata venne obbligata anche la parrocchia di Germanedo.
Leggendo il Chronicus, veniamo a conoscenza delle due profanazioni della chiesa parrocchiale avvenute a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento. Si ripropongono qui di seguito per intero, le interessantissime testimonianze storiche relative alle devastazioni del 1799 (Prima Battaglia di Lecco) e 1800 (Seconda Battaglia di Lecco) avvenute tra Austro-Russi e Francesi, stilate dal parroco di allora, don Antonio Magistri:
“Nella guerra dell’imperatore dei Francesi incominciata nell’anno 1792, questi si impadronirono del Ducato di Milano e Mantova nel 1796, e dopo tre anni furono scacciati dagli Imperiali uniti ai Russi nel 1799. In quest’anno ai 25 del mese di aprile, giorno di S. Marco, ritirandosi i Francesi, furono espugnati dagli Imperiali e Russi le fortificazioni del Ponte Grande di Lecco dopo un combattimento di tre giorni in cui restarono non pochi morti e feriti. Durante il quale combattimento furono malamente saccheggiati dai Russi tutti i paesi vicini con molte violenze, indegnità ed uccisione di alcune persone. Questa Parrocchia fu pure soggetta, da cui restarono esenti ben poche cose. La casa parrocchiale ha pure sofferto dei danni, ma la chiesa fu rispettata.”
“Nell’anno seguente, 1800, ai 2 di giugno, ritornando i Francesi in Milano, seguì un nuovo combattimento di un giorno, alle fortificazioni del Ponte di Lecco e se ne impadronirono i Francesi Cisalpini nel giorno 7 del mese ed anno suddetto, essendosi dati alla fuga gli Imperiali.
In questa occasione furono nuovamente saccheggiate varie case del territorio di Lecco e non furono rispettate nemmeno le chiese. La casa parrocchiale fu ancora esposta a qualche danno e con grande orrore fu da cinque sacrileghi soldati cisalpini, di una compagnia chiamata Infernale, saccheggiata questa chiesa dei Ss. Mm. Cipriano e Giustina.
Le cose rubate furono l’ostensorio e la pisside d’argento, che a mano armata si levarono dal tabernacolo con la rottura della portina coperta di lastre di rame, di fresco inargentata per la nuova erezione del nuovo altare di marmo fatto dentro quest’anno.
Si sparsero le particole, parte sulla mensa e parte nel tabernacolo. Furono pure tolte dalla cassetta, parte delle elemosine della chiesa. Riuscirono inutili le diligenze per ritrovare i sacrileghi rubatori e riavere gli effetti rubati. Ciò seguì l’anno primo e secondo della mia Parrocchia.” “Ad futuram posterorum in memoriam scripsit die 2 mensis juli 1800. Firmato Carolus Antonio Magistri”
Con l’Ottocento vengono attuate le prime modifiche sostanziali all’antica struttura della chiesa. Nel 1825 viene costruito utilizzando serizzo locale, su disegno degli agrimensori Pini e Provasi, il massiccio portale d’ingresso dotato di un’ampia cornice superiore, sorretta da una fascia su cui vi si trova incisa la scritta D.O.M., Deo Optimo Maximo (a Dio, ottimo e massimo).
Nel 1827 il grande architetto lecchese Giuseppe Bovara realizza il coro, il tempietto e l’altare maggiore in marmo nero di Varenna con inserti in marmo policromo; questo altare è ancora in parte presente nella nostra chiesa nonostante l’ampliamento novecentesco. Si legge infatti nel Chronicus: “Nell’anno 1827 il signor Giuseppe Astori Vittali di Varenna, fece il montaggio di questo altare maggiore in soddisfazione del sottoscritto Alessandro Bolis parroco e di tutto questo popolo che contribuirono alla suddetta spesa”. Si suppone che l’altare non viene completamente rifatto dal Bovara, ma egli, effettuando lavori di ampliamento del presbiterio e del coro, stacca dalla parete absidale l’altare del 1800, citato dal Magistri nel racconto della profanazione dei Cisalpini, aggiungendo il tempietto e gli angeli adoratori.
L’opera più importante messa in atto nell’Ottocento è l’ampliamento della struttura della chiesa secondo un disegno, che allora venne definito “stupendo”, dell’architetto milanese Felice Pizzagalli. I lavori di ampliamento, o forse e meglio dire di ricostruzione, vennero quasi totalmente sostenuti dal marchese Paolo Serponti di Mirasole, cognato del Pizzagalli, proprietario della vicina Villa Eremo e in essa residente. I lavori di riforma della chiesa avvennero nel 1836, anno in cui per altro la popolazione germanedese venne decimata dall’epidemia di colera. Pizzagalli progettò una chiesa a pianta centrale, internamente decorata da una sobria ed elegante veste neoclassica, dotata anche di una caratteristica cupola ottagonale, elemento architettonico molto caro all’architetto. Proprio la cupola nel corso dell’Ottocento crollò più volte, a causa della fragilità dei materiali utilizzati per costruirla (per esempio il tufo locale e il legno). L’ampliamento della chiesa di Germanedo, fu per Felice Pizzagalli, occasione per “esercitarsi” nella sua professione; infatti proprio il Pizzagalli fu ideatore di un nuovo metodo per la costruzione di cupole senza bisogno di strutture di sostegno provvisorie.
A causa dell’inagibilità della chiesa parrocchiale, durante i lavori di ampliamento del 1836, le celebrazioni religiose vennero svolte con probabilità nell’oratorio privato dell’Immacolata, di proprietà dei fratelli Invernizzi detti Danis, la cui costruzione negli anni trenta dell’Ottocento, venne molto osteggiata dall’allora parroco don Alessandro Bolis. Infatti secondo un accordo tra gli Invernizzi e la parrocchia, l’oratorio dell’Immacolata Concezione sarebbe dovuto servire come sostituto della chiesa parrocchiale quando in
I Serponti contribuirono poi all’arredamento e abbellimento della chiesa alla quale erano molto affezionati, coronandola con la costruzione del nuovo organo ad opera dell’organaro milanese Giuseppe Valli, avvenuta tra il 1846 e 1847 probabilmente sempre grazie alla profusione di finanze da parte dei marchesi Serponti. L’organo venne collocato in controfacciata, sulla cantoria lignea e racchiuso in una preziosa cassa in legno finemente indorata.
Come prima si accennava, nel 1836, a causa delle malsane condizioni igieniche, il paese di Germanedo venne colpito dall’epidemia del colera. Analizzando il Libro dei Morti di quell’epoca, apprendiamo che nei mesi di giugno, luglio e agosto vi furono circa trenta morti tra cui il coadiutore ventinovenne Don Giuseppe Oggioni. Il Cholera Morbus tornò ad infettare tragicamente Germanedo negli anni 1855 e 1867. A sèguito dell’ultima riedificazione della cupola avvenuta nel 1858, l’artista bergamasco Antonio Sibella, realizza gli affreschi dei pennacchi raffiguranti i quattro evangelisti. Stupefacente è l’analogia degli affreschi con lo stesso soggetto, presenti nella chiesa di Santo Stefano a Gottro di Carlazzo in Val Menàggio. Gli evangelisti dipinti sulla volta della chiesa di Gottro, ad eccezione di San Giovanni, appaiono come la copia esatta degli affreschi di Germanedo. La raffigurazione pittorica dell’evangelista San Giovanni presente a Germanedo invece mostra molte analogie con quella realizzata sempre dal Sibella sulla volta della parrocchiale di San Leonardo in Malgrate.
Si conosce l’esistenza della corale parrocchiale già dal 1891 anno in cui tra l’altro, si hanno le prime modifiche alla fonica dell’organo Valli al quale l’organaro Natale Marelli, sostituisce alcune file di registri e amplia l’estensione della pedaliera. Risale invece al 1899 il bellissimo simulacro della Madonna del Rosario, realizzato in legno e gesso dalla celebre ditta milanese di arte sacra Nardini, probabilmente in sostituzione di una statua più antica. La nicchia che ospita la statua della Madonna risulta essere decorata con affreschi raffiguranti angeli adoranti realizzati negli anni ’40 del secolo scorso dall’artista Ripamonti. Coeve della statua della Madonna o poco più tarde sono le quattro statue, anch’esse realizzate da Nardini, collocate nelle rispettive nicchie, raffiguranti il Sacro Cuore, San Giuseppe, Sant’Antonio da Padova e San Rocco, quest’ultimo santo molto venerato nella parrocchia di Germanedo da sempre popolata da gente dedita all’agricoltura. Le nicchie che accolgono queste statue erano impreziosite da finissime cornici lignee riportanti sul fregio inferiore, il nome del santo raffigurato nella statua.
Gli angeli adoratori, attualmente collocati tra l’organo e l’altare maggiore, risalgono probabilmente al 1827 e sono attribuibili al Bovara; originariamente erano ubicati sopra l’altare stesso. Tra i particolari rilevanti avvenuti nell’Ottocento, trovati durante lo studio dei registri dei morti, è il decesso di un giovane sacerdote nativo di Germanedo, un certo don Giuseppe Brambilla, detto don Peppino, morto il 6 giugno 1888, ai cui funerali vi fu un grande concorso di popolo e di clero locale. Tra gli atti della prima visita pastorale dell’arcivescovo Andrea Carlo Ferrari compiuta nel 1897, per la prima volta si trovano menzionati gli oratori privati dell’Immacolata Concezione (detto Gësa Invernezz), delle Figlie di San Vincenzo (detto Oratorio Kramer e Müller), nonché il santuario dell’Addolorata (chiamato popolarmente della Ruinada).

I SERPONTI E LA CAPPELLANIA DEI SS. AMBROGIO e CARLO

Vale la pena sottolineare, ancora una volta, quanto siano stati legati i Serponti alla parrocchiale di Germanedo e, a tale proposito, è bene aprire una parentesi riguardante le cappellanie presenti in parrocchia. Sappiamo infatti dell’esistenza di due cappellanie. La prima, antica, sopravvisse fino al 1836, grazie alla quale si ebbe sempre assicurata la presenza di un cappellano coadiutore, ultimo dei quali fu don Giuseppe Oggioni nativo di Castello sopra Lecco, morto a causa del colera. La seconda è la Cappellania Serponti chiamata “Cappellania dei Ss. Ambrogio e Carlo”, istituita con istrumento del 16 marzo 1845 nel quale vi è il decreto nomina del coadiutore di Germanedo don Antonio Erba il quale stette in parrocchia dal 1846 al 1864, anno in cui morì pochi mesi prima del parroco don Andra Magni.
Sostituto dell’Erba fu don Bernardo Invernizzi, appositamente “prelevato”, dai fabbriceri Pietro Sironi e Ferdinando Invernizzi, dalla parrocchia di Sormano vicino ad Asso. L’Invernizzi, alla morte di don Andrea Magni, venne investito anch’esso della Cappellania Coadiutoria Serponti fino a quando, nominato parroco di Laorca nel 1873, dovette abbandonare Germanedo.
Facendo una parentesi nella parentesi, è bene ricordare che don Bernardo Invernizzi ebbe i natali proprio a Germanedo ove la sua famiglia nel 1830 aveva fatto erigere il cosiddetto Oratorio dell’Immacolata; don Bernardo diviene uno dei parroci storici di Laorca, dove muore nel 1905. Nonostante fosse parroco di Laorca, i funerali solenni si svolsero anche a Germanedo con l’intervento del Prevosto.
Dal 1873 al 1875 per volere del parroco don Giacomo Benzoni la Cappellania Serponti rimane vacante, quindi i Patroni Serponti non dovendo più sostenere il loro Cappellano, mantenevano direttamente il Parroco e finanziavano le casse parrocchiali. Tra i vari obblighi, il Cappellano doveva celebrare quotidianamente la Messa all’altare dei Ss. Ambrogio e Carlo esistente in parrocchia;
Una palese testimonianza dello stretto rapporto dei Serponti con la Parrocchia di Germanedo è la lapide commemorativa realizzata in marmo nero di Varenna, sormontata dallo stemma della nobile famiglia, a memoria di donna Teresa Tosi, moglie del marchese Giovanni Antonio Serponti. Questa stele è ubicata nella cappella di San Carlo, ora trasformata nell’ingresso laterale, ove il sacerdote della cappellania Serponti doveva officiare la Santa Messa per i marchesi patroni. Su tale lapide sono incise le seguenti parole: “All’anima diletta della marchesa Teresa Serponti nata Tosi, vedova del marchese Antonio di Mirasole che i nobili natali illustrò colle virtù del cuore e della mente. Fu moglie e madre tenerissima. Il lutto di lunga vedovanza esercitò ad ornarsi di più difficili preci. Ebbe modi soavi. Zelò il culto del Signore. Soccorse ai poverelli. E morendo in Milano il giorno 28 dicembre 1841 in età di 62 anni, ai famigliari, agli amici lasciò esempio di rassegnazione. Voi coloni di Germagnedo, che in vita l’amaste pia e generosa, pregate per l’eterna retribuzione.”
In oltre, come da testamento, il marchese Paolo Serponti alla sua morte lascia alla parrocchia di Gemanedo: “[…]in perpetuo per la Domenica in cui si celebra la festa dei Ss. Cipriano e Giustina nella Parrocchia di Germanedo annue austriache lire sedici onde sia invitato un Sacerdote confessore che dalle prime ore del giorno ascolti le confessioni delle donne, celebri la Santa Messa detta alle ore nove di Francia a cui si darà dalle dette lire sedici, lire sei per elemosina”.

IL PRIMO NOVECENTO: IL LUNGO MINISTERO PASTORALE DI DON METTICA e LE PRIME AVVISAGLIE DELL’AMPLIAMENTO DELLA CHIESA

Il XX secolo si apre con gli accesi dissidi dovuti alla convivenza dei due asili infantili (uno privato e l’altro pubblico) nati a Germanedo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio nel Novecento. Il paese si trovava diviso in due fazioni e gli aspri conflitti coinvolgevano la parrocchia e i parroci. Il clima non certo sereno che si respirava è dimostrato anche dalla volontaria assenza della Giunta Municipale di Germanedo, alla seconda visita pastorale del Cardinale Andrea Carlo Ferrari avvenuta nel 1907 (il materiale altamente interessante riguardante la fondazione dell’Asilo Monumento e le relative cronache è abbondante ed è consultabile leggendo il volume pubblicato nel 2003 “Asilo Monumento ai Caduti Germanedo”).
Questo secolo è segnato innanzitutto dalla presenza in parrocchia del parroco don Attilio Mettica, sacerdote santo e ieratico che tanto si prestò per la sua amata comunità.
A don Attilio spetterà il difficile compito di successore di don Ernesto Fumeo, morto dopo lunga malattia e poco amato dai suoi parrocchiani. A tale proposito si riportano qui di seguito le parole vergate dallo stesso Mettica sul Liber Chronicus, circa il suo arrivo in Germanedo: “Il 9 marzo 1913, il Parroco Don Ernesto Fumeo moriva in casa parrocchiale, dopo alcuni anni di infermità. D’animo mite e buono, il Parroco Fumeo passò gli ultimi anni di vita, ritirato in casa, turbato da acciacchi e più da dispiaceri e da divisioni sorte in parrocchia. Pur troppo è forza attestare ch’egli in morte lasciò la Parrocchia in grande disordine. Invero:
L’amministrazione della Fabbriceria da lui tenuta, da 5 anni non presentava i bilanci;
I possedimenti prebendali risultano peggiorati;
La Chiesa onerata dal debito di circa 1.500 lire;
La casa parr.le non è mai stata riparata;
La popolazione divisa in due partiti per l’erezione di due asili infantili – funesta divisione che portò tanto male;
Le pie unioni – Madri Cristiane – Figlie di Maria – Luigini – Luigine – Terziari, trascurate.
Tutto ciò contribuì certo a rendere difficile la posizione del successore. Questi da 13 anni coadiutore in Cortabbio di Primaluna, fu invitato e insistentemente pregato dall’Arcivescovo Card. Ferrari, a presentarsi al concorso. Venne nominato al 10 luglio 1913 e placitato al 9 settembre 1913.
L’ingresso in parrocchia, fissato pel 28 settembre 1913, ultima domenica del mese patronale della parrocchia, fu lodevolmente predisposto dal coadiutore locale Sac. Annibale Brambilla: vi fu un triduo di preparazione alle feste. Alle 10 di quel giorno, accompagnato dal compatriota arlunese Mons. Colombo, Canonico Laternanense, dal Rev. Prevosto Vismara, di Lecco, dal Rev. Parroco Casati di Arluno e dalle autorità civili, venute ad incontrarlo a Lecco. Il novello Pastore, al cancello dell’Eremo Serponti, riceveva da una bambina il saluto e l’omaggio del popolo; le benedizioni e gli auguri, espressi in telegrammi, dal Sommo Pontefice Pio X e dal Card. Arcivescovo. Indi processionalmente col Clero della Pieve, si diresse alla Chiesa Parrocchiale. Vi fu la presa di possesso, il discorso e i ringraziamenti del Parroco e la Messa in canto.
Il novello Pastore fu ricevuto cordialmente e solennemente. Per l’occasione gli furono presentati vari doni per la chiesa; quali il Messale per le solennità, gli orciuoli, il turibolo con navicella, […] uffici da morto, stola bianca, secchiello per l’acqua benedetta. Chiesa e paese vennero addobbati sfarzosamente e a sera illuminati. Alle 4 pomeridiane vi fu processione solenne per tutto il paese. Nel giorno seguente si fece festa solenne ancora. Alle 10 si recitò l’ufficio e si cantò Messa da morto a suffragio dei defunti della Parrocchia. Alle 16 processione al Cimitero.
Il ministero parrocchiale del Mettica si distinse anche per le affettuose e paterne premure nei confronti dei suoi parrocchiani combattenti o prigionieri durante i lunghi e tormentosi anni di guerra e per il valido aiuto morale e consolante da lui dato alle famiglie dei caduti di guerra. Non per nulla lo stesso don Attilio volle che l’asilo che in esso riunì i due precedentemente nati in paese, venisse intitolato ai Caduti della Grande Guerra.
Per maggiori e più complete informazioni sulla storia dell’Asilo Monumento si rimanda alla pagina dedicata alla storia dell’Asilo tratta dal sito dell’Asilo Monumento: www.asilomonumento.it.
La lunga permanenza in parrocchia di don Attilio è stata caratterizzata dall’innalzamento della torre campanaria parrocchiale, avvenuta nel 1931, a memoria del terzo centenario della fondazione della Parrocchia, su disegno dell’Ing. Sironi e fornita delle cinque campane Barigozzi.
Nello stesso anno l’intera struttura della chiesa venne sottoposta ad interventi di manutenzione, ritinteggiatura interna ed esterna nonché riparazioni al tetto e rifacimento dei canali di scolo dell’acqua; con molta probabilità sempre nel 1931, i due finestroni laterali vennero muniti delle vetrate in stile liberty raffiguranti i martiri titolari della parrocchia. Nello stesso anno si provvide anche all’innalzamento del nuovo oratorio maschile, nei pressi dell’Asilo Monumento ai Caduti.
L’anno 1931, fu il più prolifico dal punto di vista delle opere parrocchiali ma il ministero sacerdotale a Germanedo di don Attilio Mettica era solo a metà strada.
Qualche anno più tardi, nel maggio del 1942, Sua Eccellenza Reverendissima Cardinal Arcivescovo Alfredo Ildefonso Schuster si reca in visita pastorale nella parrocchia dei Santi Cipriano e Giustina di Germanedo. In tale occasione si ritorna a parlare del problema dell’ampliamento della chiesa: se ne discuteva già dal 1916 ma mai si trovò una soluzione.
Le informazioni riguardo a questa visita pastorale sono interessanti e si possono ricavare sia leggendo il Liber Chronicus, sia consultando gli atti della visita; pertanto si riporta qui di seguito un sunto delle parti salienti.
L’Eminentissimo arriva a Germanedo verso sera il 10 giugno. Fatte le funzioni (predica,esequie, catechismo ai fanciulli) si reca nella casa parrocchiale per la visione dei registri dell’archivio e lo scrutinio con il parroco. Con don Attilio l’arcivescovo parlò del vicino nuovo caseggiato del Villaggio che era nato sul confine con Acquate. Si discusse anche dell’idea del Podestà di Lecco di costruire la nuova chiesa parrocchiale, proprio presso il nuovo quartiere del Villaggio. Il Card. Schuster si dichiarò contrario alla costruzione di una nuova chiesa parrocchiale e per questo ricevette l’Ing. Bernardo Sironi, il quale gli sottopose il suo progetto di ampliamento della parrocchiale. Successivamente Sua Eminenza si recò al cimitero per i suffragi. In tale circostanza ebbe modo di osservare i vicini palazzi del Villaggio e pertanto confermò quanto detto precedentemente al parroco. Durante la visita pastorale il Cardinale sottopose i bambini della parrocchia all’esame di catechismo; dagli atti si apprende un simpatico aneddoto, ossia che l’alto prelato rivolse l’imbarazzante domanda: “Come si chiama la quarta persona della SS. Trinità?” Un bambino di sei anni
Altra tappa importante del ministero parrocchiale di don Mettica è il suo cinquantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale avvenuto nel 1950. Per tale importante occasione si ebbero grandi festeggiamenti a fine settembre, durante le celebrazioni patronali. L’anniversario d’ordinazione presbiterale del pastore don Attilio venne celebrato solennemente con intervento di tutte le autorità lecchesi e di tutta la popolazione. Don Attilio era infatti molto stimato anche a livello cittadino. I festeggiamenti si susseguirono per alcuni giorni e culminarono il 24 e il 25 settembre con le benedizioni del Sommo Pontefice e del Cardinal Arcivescovo. Tutti gli intervenuti manifestarono molto entusiasmo e apprezzamento per la solennità dei riti e la sfarzosità degli addobbi. In tale circostanza il parroco don Attilio Mettica veniva nominato il primo tra i canonici del restaurato Capitolo Plebano e gli veniva offerta in dono la cappamagna.
Nello stesso anno si effettuarono alcuni lavori di sistemazione della chiesa, tra cui il rifacimento della cantoria e del portone dell’ingresso principale.
Per il peso degli anni e per i molteplici acciacchi, don Attilio non se la sentirà più di intraprendere altre importanti opere e la parrocchia inizierà a vivere una lenta crisi, sia a livello strettamente materiale e organizzativo che dal punto di vista pastorale.
Sentore di questo progressivo avanzare della crisi è la sempre più laconica e telegrafica compilazione del Chronicus. Don Attilio, gravato dall’età e dalle sue condizioni di salute, non poté più occuparsi con costanza alla gestione della parrocchia. Questo comportò l’affermarsi in maniera negativa del sagrestano e della perpetua i quali gestivano disordinatamente i beni finanziari della parrocchia. In aiuto al vecchio don Mettica, l’arcivescovo decise di inviare a Germanedo un “Vicario Ausiliare Parrocchiale” incaricando di questo compito il sacerdote, nonché medico, don Italo Maria Ceriani di Uboldo. Don Ceriani venne inviato appositamente a Germanedo per attuare l’ampliamento della chiesa, esigenza che attendeva d’essere concretizzata da quasi cinquant’anni.

LA DIFFICILE SUCCESSIONE METTICA – CERIANI

La situazione in cui si trovava la parrocchia nei primi anni sessanta era alquanto precaria e non doveva discostarsi molto da quella ereditata nel 1913 da don Attilio Mettica dal predecessore don Ernesto Fumeo, già descritta in queste cronache. Per far comprendere bene la situazione, si riporta qualche stralcio di quanto don Italo Ceriani appunta sul Liber Chronicus riguardo il suo arrivo a Germanedo.
“Giunsi in parrocchia nel marzo 1963 quale Vicario Ausiliare di don Attilio Mettica (84 anni). La situazione, se non deficitaria, era appena sufficiente a coprire le spese. Questo perché oltre all’assurdo amministrativo vigente, la chiesa è piccolissima (250 posti) e cadente.” Don Italo non esita a definire la situazione “terribile” e ancora scrive: “Il vecchio Parroco […] vedeva nel mio arrivo un sopruso della Curia Diocesana ed un ingiusto mancato riconoscimento di quanto lui aveva fatto in cinquant’anni di ministero a Germanedo”.
Don Italo dunque arriva in una parrocchia in preda all’anarchia, dove vi è un Parroco quasi infermo, un po’ succube del sacrestano che gestisce le offerte della chiesa e dalla perpetua che spende in malo modo il denaro parrocchiale.
L’arrivo di don Italo è indesiderato e l’accoglienza è fredda…anzi gelida dato che l’anziano parroco non offre nemmeno una stanza al nuovo sacerdote, il quale è costretto ad andare ad alloggiare presso alcuni locali messi a disposizione dal Prevosto nella canonica di San Nicolò, definiti dal Ceriani “…se non altro migliori della grotta di Betlemme, anche se non avevano l’acqua corrente”.
In parrocchia vi è anche il coadiutore che “schiavo” del trio Parroco – sacrestano – domestica, segue una buona parte di parrocchiani “facendo chiesuola nella chiesa”.
Anche la situazione delle strutture era grave. Don Italo infatti scrive: “La chiesa era una desolazione: vecchia di 2-300 anni, piccola da contenere 250 persone al massimo, con […] il cupolino filtrante aria ed acqua. […] La canonica, inabitabile per umidità, era la dimora del coadiutore e un appartamento tetro e inadatto della vecchia Villa Eremo era l’abitazione del Parroco.
L’archivio parrocchiale era nella vecchia canonica a piano terra e i grossi registri erano ormai tutti ammuffiti e inzuppati […]” .
Il racconto sul Chronicus prosegue e i particolari, che adesso si tralasceranno, sono assai interessanti. La situazione lentamente comincia a sbloccarsi e don Italo solamente un mese dopo il suo arrivo a Germanedo acquista (anche grazie a del denaro datogli da don Attilio) i terreni circondanti la chiesa e inizia a preparare un piano per realizzare “un complesso parrocchiale moderno e adatto alla parrocchia che preannuncia segni di grande sviluppo”.
Nel frattempo don Attilio, convinto dal suo vicario lascia l’appartamento di Villa Eremo per trasferirsi con la
L’11 luglio 1963 don Italo riceve la nomina ufficiale a parroco di Germanedo; intanto il nuovo coadiutore, don Carmelo Timpano, prepara l’ingresso solenne, fissato per il 15 settembre dello stesso anno. La domenica successiva, il 22 settembre, invece la comunità di Germanedo volle festeggiare il 50° anno di presenza a Germanedo del sacerdote, ex parroco, nonché primo canonico del Capitolo Plebano Lecchese, don Attilio Mettica, celebrando (in concomitanza con le tradizionali celebrazioni per la festa della Rovinata) la Messa Giubilare con discorso e il canto solenne dei vesperi. Don Mettica morirà due anni dopo, il 27 gennaio 1965, presso il ricovero Airoldi e Muzzi alla veneranda età di 88 anni.
Il 13 novembre 1963 don Italo riceve nel salone di Villa Eremo un gruppo composto da 23 uomini. Con questi si discute sui lavori più urgenti da eseguire. Dopo varie riflessioni e discussioni prevale il parere del parroco: non costruire a spizzichi o a momenti successivi, ma mettere mano ad un complesso di opere parrocchiali “secondo un piano armonico, moderno e razionale”. Tra i vari nomi che vengono fatti, la scelta cade sull’architetto Bruno Bianchi di Lecco.
Questo testo sulla Storia della Chiesa Parrocchiale di Germanedo è frutto di molti mesi di lavoro e di ricerche che hanno rivelato molte informazioni inedite.Ringrazio di cuore chi mi ha aiutato ad effettuare questo lavoro: Invernizzi Rosaria, Francesco D’Alessio, Spreafico Prassede, Longhi Alcibiade, Anna Martinelli, Angelo Sala, Angela Invernizzi Montani, Massimo Spreafico, Silvia Cagliani, Rosalinda Todeschini Arrigoni.

Fonti:

Archivio Parrocchiale di Germanedo – Liber Chronicus

Archivio Parrocchiale di Germanedo – Registri anagrafici vari

La Pieve di Lecco al tempo di Federico Borromeo – Banca Popolare di Lecco 1972

Francesco D’Alessio – Serponti di Mirasole – Archivi di Lecco e della Provincia n. 2 – 2006

Angelo Borghi – San Nicolò: Storia e arte della Basilica di San Nicolò

Card. Ildefonso Schuster – Peregrinazioni Apostoliche – Ed. Pont. Arciv. Daverio – Milano (1949)

Angelo Borghi – La comunità di Belledo – Profilo storico di un rione lecchese

Angelo Sala – Pietre di Fede, volume secondo – Edizioni Monte San Martino Lecco

Angelo Sala – Asilo Monumento ai Caduti Germanedo (2003)

Autori vari – Dizionario storico illustrato di Lecco e della sua Provincia – Periplo Edizioni

Questa “Storia della chiesa parrocchiale di Germanedo” non è da considerarsi completa. Per la stesura di questo testo infatti, non è stato sempre possibile a chi scrive poter visionare molti documenti antichi nell’archivio parrocchiale.

Dunque, buona parte della storia della parrocchia resta ancora un mistero.

Marco Bernasconi